Carità di Sangue

Omelia per il 150° anniversario di fondazione delle Figlie della carità del preziosissimo Sangue

Sono più d’uno, carissimi fratelli e sorelle, i motivi per i quali questa sera ci incontriamo attorno alla mensa del Signore. Il primo è senz’altro l’inizio della Domenica, il giorno senza il quale un cristiano non può vivere. Sine dominico non possumus, è la famosa risposta data dai martiri africani a chi li perseguitava. Non possiamo vivere senza questo giorno, perché è l’appuntamento con il Signore risorto: egli – come abbiamo ascoltato dal racconto evangelico – come già a Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, oggi ci passa accanto, ci vede mentre siamo impegnati nei nostri lavori quotidiani e ci chiama a seguirlo. E noi, ogni Domenica, lasciamo ogni altra cosa e stiamo con Lui. Mancare a questo appuntamento domenicale vuol dire mancare nell’amore a Gesù. La Domenica non è un precetto, ma un atto d’amore.

Il tempo si è fatto breve, dice l’Apostolo. Vuol dire che ormai c’è una urgenza e allora tutto si mette da parte. È la storia della vocazione del beato Tommaso M. Fusco; è la storia delle giovani con le quali avviò la famiglia religiosa, di cui ricordiamo i 150 anni della fondazione; è la storia di tutti noi, che abbiamo intuito dove e come il Signore ci chiamava a stare con lui (ossia ci chiama alla santità) e abbiamo voluto rispondergli. Tutte le storie di vocazione si presentano con il carattere della urgenza. Il verbo latino che è alla base di questa parola indica una spinta, che giorno dopo giorno – magari per un lungo tempo – diventa più pressante e alla fine capisci che non puoi perder tempo dietro a cose superflue, ma devi scegliere l’essenziale, devi scegliere ciò che conta, quello che è importante davvero. È quello che scriveva san Charles de Foucauld: «Appena credetti che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui». È una sorta di pressing dell’amore di Cristo: ci avvolge e ci trasporta con sé. Già san Paolo aveva scritto: Caritas Christi urget nos (cf. 2Cor 5,14).

Anche la storia della vostra Congregazione religiosa, carissime sorelle, ha avuto inizio dalla carità. Sarà, infatti, la visione di un’orfana abbandonata a indurre, spingere, incoraggiare il beato Tommaso M. Fusco ad agire per dare presto una soluzione a questa povertà. Il nome stesso della vostra famiglia religiosa, carissime sorelle, porta il segno di questa Carità urgente, che il beato Tommaso ha volto unire stabilmente al preziosissimo sangue di Cristo.

Sant’Ambrogio diceva che, come una regina, la Chiesa è incoronata dal sangue di Cristo, il quale impregna le anime dei santi e la rende tutta brillante. Lo Spirito Santo, continua il santo Dottore, contempla la Chiesa ed esclama: Come sei diventata bella e dolce amore mio. Sì, conclude sant’Ambrogio, bella è la Chiesa nell’armonia delle virtù e per la bellezza della grazia. La Chiesa stessa è diventata amore perché, se è vero che Dio è amore, allora amando il Signore la Chiesa ne riceve il nome (cf. Expositio in psalmum David CXVII. Sermo XVII, 21: PL 15, 1447).

Vedete, carissime sorelle, quali grandi misteri sono nascosti nel nome della vostra famiglia religiosa? Il beato Tommaso nel suo Discorso per la installazione della Pia unione del Preziosissimo Sangue ricordava, citando pure sant’Agostino: dal fianco aperto di Cristo sgorgò sangue e con sangue ne uscì la Chiesa! Voi stesse fatevi alimentare da questa Carità e sappiate esprimerla nell’esercizio della vostra vita personale e comunitaria.

Ciò detto, ora è doveroso considerare qualcosa del racconto del vangelo appena proclamato. In questa Domenica abbiamo udito la storia di due incontri di Gesù, l’uno e l’altro con una coppia di fratelli. Il primo è con Simone e Andrea, che si dispongono al loro lavoro di pescatori: gettavano le reti in mare. Evidentemente è sera, quando è il momento opportuno per la pesca. Gesù li provoca con una strana promessa: Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini. Cosa vuol dire? A me piace la spiegazione che ne dava sant’Agostino. Diceva all’incirca così: «Siamo stati catturati dalle reti della fede: rallegriamoci perché nuotando dentro tali reti siamo al sicuro, anche se il mare mugghia paurosamente con le sue tempeste. Fratelli, mentre siamo ancora racchiusi nelle reti, viviamo bene: non usciamo fuori rompendo le reti. Le reti che ci hanno catturato saranno tratte a riva e noi saremo salvi»! (In Ps. LXIV enar., 9. PL 36,781).

Il secondo incontro accade, invece, di mattina: ancora due fratelli, che però le reti le riparano, le riassettano dopo la pesca notturna. Anche qui una chiamata. In entrambi i casi c’è un abbandono: nel primo delle reti; nel secondo del padre. Gesù non domanda solo abbandoni, ma chiede pure distacchi! Ed è un problema serio se uno abbandona cose senza distaccarsi da persone, o se si distacca da persone, ma si tiene bene strette le cose. Occorre, allora, abbandonare le reti, per non rimanere irretiti!

Nella breve seconda lettura tratta dall’epistolario paolino abbiamo ascoltato una serie di esortazioni contrapposte, che potrebbero sorprenderci: «d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente… ». In breve, san Paolo ci raccomanda di vivere la nostra condizione, la nostra situazione nella libertà e con libertà.

Con il suo come se non san Paolo ci raccomanda di custodire una gerarchia di valori, in qualunque situazione ci troviamo. Tutti i valori umani, anche quelli più profondi, più costitutivi, le relazioni più profonde e importanti della società, non possono spostare l’attenzione del cristiano dalla sua verità più profonda, che dà il senso a tutto: ossia la fedeltà a Cristo Gesù.

Anche il nostro beato Tommaso M., benché in tante prove e difficoltà, non si è mai scoraggiato, né si è lasciato sopraffare, ma ha conservato la interiore serenità di essere fedele a Gesù. Penso che la sua sofferenza più grande sia stata quando le trame, l’invidia e la gelosia di due confratelli lo accusarono di una grave colpa. La calunnia lo addolorò moltissimo e lo fece piangere, ma egli si pose ai piedi del Crocifisso e davanti all’immagine della Vergine Madre Addolorata: soffrì ma non interruppe la sua fedeltà. Visse in prima persona la sua bella e sintetica espressione: Carità di Sangue. Quanto è ricca questa frase, quanto è da meditare!

Un’ultima cosa, carissimi sorelle e fratelli, desidero aggiungere, ma lo farò brevissimamente. Oggi nella Chiesa cattolica celebriamo la Domenica della Parola. Nella Lettera apostolica Aperuit illis con cui l’ha istituita il 30 settembre 2019, papa Francesco ci esorta a non fare mai mancare nella nostra vita  il rapporto con «la Parola viva che il Signore non si stanca mai di rivolgere alla sua Sposa, perché possa crescere nell’amore e nella testimonianza di fede».

Ne prendo spunto per ricordare che nell’elogio funebre tenuto il 24 febbraio 1892 per il primo anniversario della morte del nostro beato, il canonico Formisano disse di lui che fu labbro parlante dell’evangelo. Anche questa frase è bella e da applicare a noi: essere con tutta la nostra vita e non soltanto con ciò che diciamo, labbro parlante dell’evangelo. Sull’esempio del beato Tommaso M. Fusco e per la sua intercessione, cerchiamo di essere così anche noi. Amen.

Istituto Figlie della carità del preziosissimo Sangue – Roma, 20 gennaio 2024

Marcello Card. Semeraro
Fonte: Omelia per il 150 anniversario di fondazione delle Figlie della carità del preziosissimo Sangue (causesanti.va)